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La gestione delle emozioni in gruppo

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Gestione delle emozioni in gruppo: il lavoro di gruppo può essere un valido alleato per vincere resistenze e aiutare i pazienti ad entrare in contatto con le loro emozioni

La gestione delle emozioni in gruppo: come avviene?

 

Proviamo a spiegarla partendo da questa brevissima e provocatoria affermazione di Winnicott che potrebbe essere assunta a manifesto delle acquisizioni, negli ultimi 40 anni, da parte della psicoanalisi e della ricerca sull’infanzia.

Il bambino non esiste.

Il bambino, cioè – intende Winnicott – non esiste senza madre e senza un ambiente di accudimento sufficientemente buono.

Un altro modo di dire la stessa cosa è che nessuno di noi sopravvive e si sviluppa al di fuori di un insieme di relazioni sane.

Una delle cose più importanti, che è stata ampiamente documentata dalla ricerca sull’infanzia, è l’influenza bi-direzionale nelle interazioni madre-bambino.

Dove una volta i ricercatori immaginavano il bambino alla nascita come una scatola vuota che veniva pian piano riempita dall’influenza dei genitori, oggi è stata riconosciuta la competenza del bambino piccolo fin dalle prime settimane di vita e la sua capacità di influenzare il caregiver.

Questo tenendo comunque presente l’asimmetria adulto/bambino piccolo sia nei comportamenti che nell’influenza reciproca, vale a dire che la mutualità nell’influenza non significa uguaglianza.

Dalla risposta sintonizzata dell’altro il neonato deriva un senso di efficacia e di possibilità di agire nel mondo.

Gli studi evidenziano ampiamente come i sistemi sani bambino/agente delle cure implichino una reciproca sintonizzazione affettiva e come una persona coesa e vitale si sviluppi entro un contesto di responsività ottimale (Bacal, 1985b) e di reciproca regolazione (Beebe e Lachmann, 1988b).

La gestione delle emozioni durante l’infanzia

Questo processo continua per tutta la vita, il che equivale a dire che anche noi adulti abbiamo bisogno, per la nostra salute mentale, di vivere in un ambiente relazionale adeguato alle nostre necessità più profonde.

Dicevamo poco fa che la presenza di un contesto ambientale che sia responsivo permette al bambino di sviluppare un senso di sé vitale.

Il bambino, cioè, in base alle risposte dell’altro e al senso di efficienza sperimentato, costruirà dei significati e delle aspettative sulla relazione, quelli che gli intersoggettivisti chiamano princìpi organizzatori inconsci.

Lo sviluppo sano, dunque, avviene in base ad una sintonizzazione affettiva ottimale e reciproca tra il bambino e l’ambiente che lo circonda. Quando questo non avviene, è chiaro che fra l’adulto ed il bambino saranno le esigenze di quest’ultimo che verranno sacrificate per mantenere i legami di attaccamento con gli agenti delle cure.

Dice Alice Miller:

E’ sorprendente la capacità, da parte del bambino, di percepire intuitivamente e di rispondere al bisogno della madre e di assumere il ruolo assegnato a lui. Questo bisogno assicura l’amore al bambino, egli può sentire di essere necessario e ciò dà alla sua vita una garanzia di esistere.

Il bambino imparerà, se necessario, ad escludere stati affettivi dalla sua coscienza, sintonizzerà le sue richieste e regolerà il suo stato interno in base alle risposte delle persone affettivamente importanti: gli affetti non integrati, però, non scompaiono ma diventano fonte di conflitti che durano tutta la vita, pronti ad attivarsi ogni qual volta, in una relazione, ci sarà sentore di una nuova traumatizzazione.

Relazioni di gruppo: l’influenza dello sviluppo infantile

Altre due cose possiamo estrapolare dalla enorme massa di dati proveniente dalla ricerca sull’infanzia: la prima è che il bambino piccolo è geneticamente programmato a discriminare e a formare schemi distinti di sé e dell’altro.

Questo significa che un bambino non confonde gli stimoli e le funzioni fornite da diversi agenti delle cure.

La seconda, sottolineata soprattutto da Lichtenberg, è che il bambino piccolo può trarre piacere nell’intimità e nel senso di appartenenza non solo con gli agenti delle cure, ma anche con il gruppo familiare.

ci può essere un pattern innato, pre-programmato di affiliazione, che inizia quando il bambino piccolo comincia a considerare i genitori e i fratelli non solo come individui, ma come unità, la famiglia …. a un bivio dello sviluppo, una persona comincia a essere motivata a sviluppare affiliazioni con gruppi che hanno un legame, scopo, una fede o un ideale condiviso.….. La motivazione per l’affiliazione è altrettanto parte integrante dello sviluppo, e universale nel suo verificarsi, quanto quella per l’attaccamento.

Queste due considerazioni rendono conto di due caratteristiche peculiari della psicoterapia di gruppo e cioè di come ogni paziente sia in grado di distinguere e discriminare, dal punto di vista relazionale ed affettivo, ogni membro dall’altro e come il gruppo stesso, nel momento in cui venga percepito sicuro e coeso, eserciti un’attrazione potente verso ogni partecipante.

La gestione delle emozioni in gruppo

Una esperienza di gruppo, rispetto ad un trattamento individuale, amplia notevolmente il campo terapeutico relazionale ed espone i pazienti ad una gamma più ampia sia di sintonizzazioni affettive che di eventi conflittuali e traumatici.

In un gruppo responsivo e coeso, i pazienti interagiscono in modi che si regolano reciprocamente e vitalizzano il sé: questo, col tempo, amplia le loro capacità autoriflessive e di responsività empatica…. Il gruppo permette più facilmente, rispetto ad un trattamento individuale, di concentrare l’attenzione sulle esperienze precoci con i fratelli, i coetanei e gli altri significativi….. la molteplicità degli scambi affettivi permette un’elaborazione più completa degli aspetti conflittuali di ogni paziente.

(Harwood, Pines, 1998)

Il gruppo permette di sperimentare sé stessi come simili agli altri, permette di sentirsi meno inferiori e inadeguati e accresce la capacità di auto-svelarsi emotivamente.

Questo sentimento del condividere e dell’essere simili è la fonte principale di coesione all’interno del gruppo: vi è coesione, quindi, quando si può esprimere il proprio mondo interiore con gli altri e poi essere accettati, quando è possibile esprimere sentimenti senza essere letali per gli altri e per noi, soprattutto quando è possibile esprimere sentimenti negativi verso il leader, senza ovviamente subire ritorsioni.

In questo tipo di gruppi viene rivolta costante attenzione alla storia di ciascun individuo, preservando l’autonomia e i diritti di ciascuna persona: il processo gruppale è in via preferenziale utilizzato allo scopo d’indagare le dinamiche e l’esperienza individuale.

Compito importante del terapeuta di gruppo è proteggere e salvaguardare le espressioni del sé di ciascun membro dalle pressioni possibili del “gruppo come un tutto”.

Non è infatti raro il caso del paziente che si trovi costretto a sacrificare aspetti importanti di sé stesso per mantenere il legame con tutti gli altri o col terapeuta: in questo senso è fondamentale la conoscenza, come dicevamo, della storia del paziente.

Terapia di gruppo per la gestione delle emozioni

Svelarsi emotivamente è possibile, abbiamo detto, in un ambiente che è sentito sicuro e questo è attuabile mediante la continua ricerca di sintonizzazione da parte del terapeuta: egli dovrà inoltre essere in grado di mantenere un certo equilibrio tra reattività e responsività nei membri del gruppo.

Il disturbo psicologico di una persona può esser visto anche come determinato sia dal fatto che percepisce una risposta inadeguata, da parte del gruppo di persone significative, ai suoi bisogni particolari, sia dal fatto che egli stesso non si adatta alle aspettative delle persone per lui importanti affettivamente.

Da questo ne deriva che, in generale, i membri di un gruppo tenderanno a reagire all’esperienza che fanno, da parte degli altri, di frustrazione dei loro bisogni (reattività): questo è probabile che scateni emozioni come la rabbia, la paura della frammentazione, angoscia, solitudine, impotenza.

Nello stesso tempo, i membri del gruppo dovranno imparare anche a rispondere ai bisogni psicologici degli altri, cioè a “mettersi nei panni di” chi li turba o è sentito e vissuto come diverso da sé (responsività): questo è probabile che attivi comprensione, coesione, senso del limite e della differenziazione sé/altro.

Le emozioni sorgono all’intersezione tra l’esigenza che i nostri bisogni vengano soddisfatti e quelli degli altri riconosciuti e rispettati.

Il lavoro terapeutico di gruppo sulle emozioni

Nel gruppo, il lavoro con le emozioni viene svolto a livelli diversi a seconda della storia e delle caratteristiche di ognuno: i pazienti possono avere un controllo eccessivo o una scarsa regolazione delle proprie emozioni, oppure possono avere difficoltà a riconoscerle e denominarle.

Nel primo caso, il terapista può aiutare il paziente ad accedere ad una emozione tenuta sotto stretto controllo, ad esempio utilizzando una tecnica tipica della psicoterapia della gestalt come l’amplificazione: se una persona non è in contatto con la propria esperienza, l’accentuazione di una sequenza comportamentale, di un gesto, di un suono può più facilmente permettere il contatto con il vissuto emotivo inconsapevole racchiuso in quel comportamento.

Nel caso di scarsa regolazione delle emozioni, è importante che il terapista aiuti il paziente e regolare le proprie reazioni nelle situazioni coinvolgenti, ad esempio regolando il respiro.

Rivolgere la propria attenzione al respiro permette, ad esempio nel caso si stia provando una intensa ansia o rabbia, di concentrarsi sulla sensazione attuale, di liberare la mente dai pensieri e di regolare la respirazione: accade spesso infatti che, mentre prova una forte emozione, il paziente trattenga il respiro oppure vada in iperventilazione.

Riuscire a regolare la respirazione ha un effetto auto-sedativo abbastanza forte.

E’ sempre importante per i pazienti non essere sopraffatti dalle emozioni e riuscire ad esercitare un controllo.

Nel caso di difficoltà a sentire, riconoscere e denominare le emozioni, il paziente può essere invitato a prestare attenzione ai vissuti corporei, focalizzando l’attenzione su sé stesso piuttosto che sull’ambiente: questo serve a riconoscere gli equivalenti somatici e non verbali di un’emozione e, con l’aiuto del terapeuta, a denominarla.

Gli strumenti a disposizione del terapista

Il terapista utilizza varie fonti d’informazione per effettuare una valutazione dello stato emotivo dei pazienti:

  • sintonizzazione empatica coi sentimenti dell’altro;
  • segnali non verbali e congruità o meno col contenuto del discorso;
  • conoscenza della storia personale e delle modalità di espressione emozionale;
  • tipo di personalità e di stile personale.

Spesso è utile concentrare l’attenzione sul come il paziente eviti o interrompa l’esperienza emotiva, in che modo immagini o ritenga di correre il rischio di essere nuovamente traumatizzato e che i suoi bisogni vengano respinti o misconosciuti.

In tal caso il paziente sarà portato ad utilizzare, negli scambi relazionali, le strategie apprese di accomodamento e/o di “sopravvivenza” emotiva.

E’ importante per il terapista riconoscere l’adeguatezza delle percezioni del paziente e indagare e riflettere sul come egli stesso possa aver frainteso o trascurato qualcosa d’importante nell’esperienza del paziente.

Il terapista dovrà trovare poi il modo, mediante la conoscenza della storia dell’individuo ed il processo che abbiamo precedentemente descritto, di sintonizzarsi empaticamente con il vissuto emotivo e le paure sottostanti per entrare di nuovo in connessione con l’esperienza del paziente, riparando le rotture verificatesi nella relazione.

Nel caso invece in cui il paziente viva il terapeuta o il membro del gruppo come sintonizzato, sarà per lui possibile far emergere i bisogni profondi e le emozioni collegate.

Quando un paziente può affrontare aspetti centrali dolorosi di sé apprende che può sopravvivere a ciò che riteneva insopportabile e che è possibile mantenere un legame senza rinunciare ad aspetti fondamentali di sé stessi: questo fa sì che il bisogno venga delineato chiaramente e che il paziente diventi agente attivo nel procurarsi, ad esempio, il sostegno e conforto di cui ha necessità.

E’ importante che la persona arrivi ad esprimere in profondità i suoi sentimenti, aspettative e paure, in presenza di un ambiente adeguato, e che la sua esperienza sia validata e rispecchiata.

Conclusioni sul lavoro terapeutico di gruppo sulle emozioni

Ciò che caratterizza probabilmente tutti i pazienti è che nella loro infanzia hanno subìto una qualche forma di abuso emotivo ed hanno interiorizzato un senso di sé come non amabili o indegni, imparando a trattare sé stessi nel modo in cui sono stati trattati dagli altri significativi e a ritenersi responsabili del trattamento subito e di averlo meritato o provocato.

In questo senso, è fondamentale che il paziente possa prima esprimere il suo dolore, la sua impotenza, la sua rabbia in presenza di un altro vissuto come significativo, per poi poter rendersi conto di come egli stesso abbia fino ad oggi rinunciato ad aspetti vitali di sé al fine di mantenere legami fondamentali di attaccamento.

Questo permetterà al paziente di aprirsi a nuovi apprendimenti e di sperimentare nuove modalità di essere in relazione.

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