La meditazione è un modo per imparare ad essere nel presente e allenarsi alla pace e all’amore, anche quando le cose intorno a noi non sono perfette
Che cos’è la meditazione?
“Essere nel presente” è un’espressione sempre più comune. Si utilizza sui social network, nei film, nelle canzoni, persino nelle pubblicità. Ma cosa significa davvero? E soprattutto chi l’ha inventata?
È difficile dire chi ne abbia parlato per primo, perché si tratta di un’indicazione che i saggi di diverse civiltà attraverso i millenni hanno spesso cercato di comunicare ai propri simili: vivi nel momento presente e la verità ti sarà svelata.
Chi ha intuito i meccanismi sottili della realtà in cui siamo immersi ha cercato cioè di ammonirci di qualcosa di semplice: tieni la tua mente ancorata a ciò che c’è qui adesso e non perderti nelle elaborazioni mentali, siano esse ricordi o fantasie oppure anticipazioni sul futuro.
Meditazione e buddhismo
Tra tutti però è al Buddha, vissuto circa 2600 anni fa, che siamo debitori per aver spiegato in modo molto dettagliato come esercitarsi nell’arte della presenza mentale: attraverso la meditazione, che si fonda sull’attenzione al respiro e alle sensazioni nel corpo.
Nei secoli poi il buddhismo ha sviluppato innumerevoli metodi di meditazione, affinati attraverso la sperimentazione e la pratica degli insegnamenti originari del Buddha.
Pur nella diversità di approcci, tutte le diverse correnti e le varie scuole e tradizioni sono concordi su quale sia lo scopo della presenza mentale, che si allena attraverso la meditazione: comprendere se stessi e il mondo, fino a realizzare di essere liberi dalla sofferenza.
La meditazione nella cultura occidentale
Originaria dunque dell’India, la meditazione di consapevolezza negli ultimi decenni è stata praticata e studiata a fondo da chi abita nei paesi più industrializzati, per cultura più analitici e razionali dei propri simili asiatici.
Il motivo di questo fervente interesse sembra risiedere proprio nel carattere analitico degli antichi testi buddhisti, raccolti nel Canone Pali, capace di soddisfare le razionali menti occidentali.
Oltre al pensiero filosofico e alla vastissima analisi psicologica presenti nell’Abhidhamma, il Canone Pali contiene infatti numerose e dettagliate indicazioni didattiche, raccolte nel Sutta Pitaka, nel quale è descritto come praticare la consapevolezza.
Si tratta di fatto di un metodo scientifico: fai esperienza e verifica tu stesso se ciò che ti descrivo è vero anche per te. Nessuna credenza o fede cieca è richiesta, ma appunto la sperimentazione. Dagli ambienti spirituali la meditazione si è diffusa poi in ambito clinico fino ad invadere ogni settore sociale, dalle scuole alle palestre.
L’allenamento mentale sembra insomma essere la nuova moda, una moda che però affonda le radici in un’antica filosofia, sopravvissuta a secoli di storia, e a cui non solo filosofi e psicologi, ma anche molti scienziati guardano con crescente curiosità e interesse.
La meditazione nella scienza
La novità più rilevante infatti, oltre alla diffusione capillare in ogni strato della società, è che nel ventunesimo secolo la meditazione è stata indagata a livello scientifico in modo molto rigoroso.
Grazie allo sviluppo di nuove tecnologie di indagine, le neuroscienze hanno potuto studiare sia il cervello di monaci con migliaia di ore di meditazione alle spalle che quello di persone che meditano da poche settimane ed hanno così descritto quali cambiamenti a lungo termine sono indotti dalla meditazione.
Gli studi in materia sono oggi così numerosi che vengono pubblicate continue nuove scoperte, alcune anche sorprendenti. Ad esempio è appurato che la meditazione ha un’azione positiva sull’espressione genica e sull’invecchiamento cellulare, cioè in ambito accademico si è verificato che non solo il pensiero agisce sui meccanismi cellulari e molecolari del nostro corpo, ma che ciò avviene in modo veloce e diretto.
Certo la complessità del mondo materiale, del nostro sistema nervoso e del nostro corpo in generale rende cauti non solo gli scienziati, ma anche le persone di buon senso, dal pretendere di spiegare tutti i fenomeni naturali che osserviamo.
D’altronde siamo anche lontani dall’afferrare tanti misteri sulla nostra esistenza. Come è possibile trarre conclusioni definitive quando ancora non sappiamo cosa sia il pensiero?
Come cambierà il nostro modo di percepire il mondo?
Assumendo dunque l’atteggiamento scientifico secondo il quale noi esseri umani possiamo appunto solo sondare questo mistero che è la realtà (e mai arrivare alla verità ultima), dobbiamo ammettere di essere in un momento storico di grande fermento non solo per quanto riguarda gli studi sul cervello e sulla mente, ma anche per le applicazioni che derivano dalle attuali conoscenze sulla fisica della materia.
La rivoluzione tecnologica in corso continuerà nei prossimi anni in modo ancora più dirompente proprio grazie alle enormi scoperte delle neuroscienze, della fisica e delle scienze in generale.
E se il futuro rimane un’incognita le conoscenze attuali fanno già prevedere un cambiamento nella nostra comprensione della realtà paragonabile alla rivoluzione copernicana.
I nostri antenati infatti ad un certo punto si dovettero rassegnare all’evidenza sperimentale che non è il Sole a girare attorno alla Terra, nonostante la nostra percezione superficiale sia che la Terra sia immobile nell’Universo con il Sole che si sposta all’orizzonte.
Allo stesso modo, cioè con l’accumularsi dell’evidenza sperimentale, cambierà proprio la percezione di noi stessi e della realtà attorno a noi e quindi cambieranno le relazioni sociali e il nostro rapporto con l’ambiente.
L’originazione interdipendente nel pensiero buddhista
Per chi ha approfondito con serietà il pensiero del Buddha ed ha praticato a lungo e in profondità la meditazione di consapevolezza sarebbe una grande gioia vivere in una società che accetta ad esempio l’originazione interdipendente (o coproduzione condizionata, pratiitya samutpada in sanscrito, paticcasamuppāda in lingua pali).
L’originazione interdipendente è uno degli insegnamenti fondamentali del Buddha e afferma che tutti i fenomeni fisici e psicologici che concorrono a formare ciò che conosciamo come esistenza sono interdipendenti e si condizionano a vicenda (vedi Il Buddhismo, Giangiorgio Pasqualotto, B. Mondadori, 2003, pp. 48-53).
Oggi invece viviamo purtroppo nella convinzione che ogni cosa sia separata da tutto il resto. La tendenza comune è di isolare particolari aspetti di un evento o di un’esperienza e di vederli come se ne costituissero la totalità.
L’origine di ogni cosa ed evento dipende invece da una complessa rete di cause e condizioni correlate.
Tutti i fenomeni sono originati in modo dipendente in quanto, se li analizziamo, troviamo che, in definitiva, essi non possiedono un’identità indipendente. E questo è vero soprattutto per l’identità dell’io.
Identità e cambiamento
Come descrisse bene Pirandello nel suo romanzo Uno, Nessuno, Centomila, in ognuno di noi non esiste un io individuale. Al suo posto vi sono migliaia di piccoli io separati che il più delle volte si ignorano o addirittura sono ostili gli uni agli altri.
Ad ogni attimo diciamo e pensiamo “io”, ma ogni volta il nostro io è differente, perché in ogni momento sono diversi i pensieri, i desideri, le sensazioni ed anche il nostro corpo che cambia in continuazione.
Ognuno di noi, insomma, sia nel rapporto con se stesso che con gli altri si trova alle prese con meccanismi complessi, molto più complicati di quelli di un robot, di cui conosce poco sia la struttura che le possibilità, perché non esiste un’idea comune sullo scopo delle funzioni di questi meccanismi.
Viviamo tutti, come umanità, come se avessimo un’idea chiara del perché siamo al mondo e di come siamo e che cosa sia la realtà.
Il ruolo dell’umanità nel mondo
Di fatto non è così, anche se molti saggi hanno cercato di indicarci una strada, oggi non esiste nessuna conoscenza comune all’umanità che individui il ruolo dell’Homo Sapiens alla fine dell’attuale catena evolutiva e che sia quindi in grado di dare una direzione all’umanità.
Nel corso della storia le religioni si sono fatte carico di questo compito, ma ad oggi questa soluzione è stata più divisiva che unificante, perché si è sempre trattato di soluzioni ‘locali’, cioè legate alla cultura di un popolo e non alla specie in quanto tale.
Cercando di tralasciare la metafisica, mi piace pensare che grazie alle nuove scoperte siamo vicini almeno ad una definizione generale di cosa sia un essere umano nel suo potenziale.
Personalità come il Dalai Lama insistono molto sulla necessità di valori universali come la compassione e l’altruismo e la storia recente ha visto il sorgere di organismi internazionali sovranazionali.
Insomma i buoni propositi ci sono, ma la gran parte dell’umanità vive ancora sulla base di credenze formatesi in reazione ad emozioni distruttive come la paura e la rabbia.
Le nuove conoscenze sul cervello e sulla mente dovranno però produrre una revisione del nostro concetto di realtà simile a quella iniziata 400 anni fa, quando le attuali conoscenze sull’universo e la materia erano considerate eresie.
La meditazione può aiutarci a cambiare in meglio
Io non sono un’esperta né di Buddhismo, né di nessuna particolare branca scientifica, ma so che l’essere umano è un universo in miniatura, nel vero senso della parola.
In ognuno di noi esistono tutti gli elementi di cui è formato l’universo e le stesse forze e le stesse leggi che reggono la vita dell’universo agiscono dentro di noi.
Dove siamo oggi come umanità? Cosa siamo e cosa capiamo con l’intelletto e cosa possiamo comprendere con il cuore?
La storia umana procede nonostante le guerre, le carestie e le calamità naturali e se la scoperta dell’inconscio e della frammentazione dell’io hanno creato gran smarrimento nel corso del secolo scorso, per fortuna oggi recenti scoperte neuroscientifiche dimostrano che gli esseri umani tendono per natura alla compassione e all’amore.
E non solo. La scienza oggi ci dice che possiamo cambiare le nostre convinzioni nell’arco di tutta la vita, perché il nostro cervello è plastico, anzi molto plastico.
Anche chi è nato in un ambiente ostile ed ha respirato rabbia e rancore fin dai suoi primi vagiti può decondizionarsi da abitudini familiari e culturali.
Poco importa se siamo cresciuti in un ambiente malsano in cui regnavano tristezza e rabbia o risentimento e lamento, con un allenamento paziente e costante possiamo imparare l’amore e la pace del cuore. O meglio possiamo lasciare che l’amore e la pace che naturalmente esistono in potenza dentro di noi si sviluppino a discapito della rabbia e della paura e di tutte le emozioni e i pensieri distruttivi.
Gli studi sulla meditazione hanno contribuito ad approfondire tutti questi temi, perché meditare significa lasciarsi attraversare dal piacere e dal dispiacere o dalla noia con lo stesso atteggiamento non giudicante.