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Le origini della scelta del partner

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La scelta del partner in età adulta è condizionata da numerosi fattori e sono molte le teorie che la analizzano.
Da Freud a Schellenbaum è importante notare quanto sia fondamentale l’amore e lo sviluppo psicosessuale in età infantile e adolescenziale

“Accettiamo l’amore che pensiamo di meritare”

Questo concetto, semplicemente espresso nella frase di un film, ci riporta a diverse teorie psicologiche sulla scelta del partner in amore.

Già Platone e Simposio si erano espressi magistralmente su questo tema che continua a suscitare sempre molto interesse visto che è sempre attuale provare a capire qual è il motivo che spinge due persone a cercarsi, amarsi e alla fine stare insieme

Il mondo delle relazioni è caotico e molto complesso poiché mette in gioco tutte le parti di noi stessi, da quelle più razionali a quelle più arcaiche che corrispondono al nostro bisogno innato di essere amati.

Freud: la scelta del partner è condizionata dallo sviluppo psicosessuale

Sigmund Freud, a cavallo tra l’800 e il 900, aveva teorizzato il ruolo cruciale delle relazioni infantili sul “destino” delle relazioni successive: la scelta del partner, secondo la sua teoria, in età adulta è condizionata soprattutto da come il bambino o la bambina hanno attraversato l’età edipica e come si è superata questa delicata fase di sviluppo psicosessuale.

È in questa fase che l’atteggiamento dei genitori e le loro reazioni più o meno “colpevolizzanti” allo spontaneo comportamento del bambino, condizionano il ricordo edipico non cosciente del bambino, proiettandolo nelle fasi successive e quindi nell’età adulta. Questo ricordo emerge dal profondo camuffato, condizionando l’individuo quando si troverà a scegliere un partner d’amore.

Schellenbaum: una ferita durante l’infanzia e l’adolescenza influenza le relazioni sentimentali

Lo psicanalista Junghiano Peter Schellenbaum ha ampiamente trattato nei suoi testi («La ferita dei non amati», «Il no in amore») la questione della mancanza di amore come la ferita più grave che si possa infliggere all’essere umano. Schellenbaum afferma che se durante l’infanzia e l’adolescenza si ha un’esperienza traumatica con l’amore, questa ferita che si insinua nella loro personalità può arrivare condizionare e influenzare tutte le relazioni sentimentali presenti e future.

La ferita psicologica risalente all’infanzia si delinea come il legame tra due ambivalenze con cui il bambino è stato costretto a convivere: “non c’è amore” ed “eppure deve esserci amore”. 

Da questa contraddizione nasce una coabitazione che sembra naturale fino a che ne si è prigionieri e che Schellenbaum denomina il ‘gioco del non amore’.

Il gioco del non amore è un vero e proprio schema comportamentale che ha la funzione (apparente) di spiegare – rendere più tollerabile per la coscienza – ciò che invece è assolutamente inspiegabile.  Dall’altra parte però gratifica l’Io nella “sfortuna” lasciandolo nella passività inconsapevole di ciò che gli accade. 

Ogni persona può essere esperta in più “giochi del non amore” che sono tutti accomunati dall’autoinganno

Le trappole d’amore sono diverse e oltre ad essere tutte accomunate dall’autoinganno che contengono, ogni persona potrebbe essere esperta di uno o più giochi potendone trovare anche un’originale sintesi.

Sono così definite: 

  • “Ancora la persona sbagliata” 
  • “Pur di essere amato” 
  • “Io ti amo, amami anche tu!” 
  • “Non credo che tu mi ami” 
  • “Non mi ami mai abbastanza”
  • “Sempre un po’ troppo tardi” 
  • “Ti compero”
  • “Tutti mi amano” 

La ferita dei non amati è una ferita inguaribile: non è possibile estorcere amore a dei genitori che, per qualsiasi motivo, non abbiano amato i figli.

L’esperienza del non amore fornisce una base poco solida all’esistenza: un bambino non amato non sarà capace di affrontare il mondo per quel che è, sarà debole e bisognoso e tenterà con tutte le forze di riparare al danno subìto nel presente, attraverso quei legami significativi che sono capaci, per loro stessa natura, di riaccendere la fiammella della speranza di ritrovare e sperimentare l’amore che non si è ricevuto. 

Molto spesso il vissuto di non amore si traduce nell’impossibilità di provare amore verso se stessi ostacolando la capacità di guardare avanti.

L’unica strada percorribile, attraverso il lavoro psicoterapeutico, è la rinuncia all’amore parentale tardivo. Con rinuncia si intende un’accettazione di ciò che è avvenuto in passato e un conseguente “sblocco” di quell’energia vitale impiegata nel risolvere qualcosa che purtroppo è destinato a rimanere irrisolto. Attraverso la relazione terapeutica, è possibile trasformare quell’antico “no” del genitore in un “sì” verso se stessi, svincolando l’energia vitale dai legami familiari e rimettendola in circolo nel qui e ora, dove ognuno è realmente libero di scegliere il proprio destino. 

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