La domanda che accompagnava ogni attimo di riflessione era: “ma è possibile…?”. La mente viaggiava tra i ricordi dei dodici anni passati insieme, che quando ne hai ventotto coprono gran parte della tua vita. Momenti belli, spensierati, ma anche alcuni brutti, di quelli che, superati insieme, però, rafforzano di più la coppia. Abbiamo vissuto per tanti anni lontani perché dopo la scuola lui è andato subito a lavorare fuori, mentre io mi sono concentrata sugli studi, ma l’obiettivo temporale ci era chiaro. Laureata, specializzata e abilitata a pieni voti in tempi record e subito dopo trasferita nella città dove lui già lavorava. E non fu un sacrificio. Sposarci e vivere finalmente insieme nella nostra casa era stato il coronamento di un sogno, di una vita che sentivamo entrambi avremmo vissuto insieme per sempre. Ho iniziato a lavorare quasi subito, guadagnavo poco, ma a sufficienza per sentirmi indipendente e contenta di contribuire alle esigenze della nostra famiglia.
Sembrava tutto perfetto eppure, ad un tratto, in quel matrimonio ho iniziato a sentirmi prigioniera. Prigioniera di un sogno.
Vivevo quotidianamente sensazioni contrapposte: l’entusiasmo di vedere i primi frutti del lavoro, della nostra indipendenza, l’idea di poter crescere ancora come singoli e come coppia e la rabbia di scoprire che non lo facevamo più insieme.
“…ma è possibile” che non condividiamo più sogni e progetti? che per lui tutto si sia già realizzato? “…è possibile” che l’uomo della mia vita sia cambiato?
Queste domande mi davano il tormento ogni sera quando mi mettevo a letto, spesso dopo lunghe conversazioni in cui finivamo per sembrare due completi estranei.
Ho passato un anno e mezzo concentrando tutte le mie forze per far sì che le cose funzionassero, mi sforzavo nel cercare strade e soluzioni per far convergere le nostre ormai distanti idee sul nostro futuro. Non mi capacitavo di come fosse possibile quel che ci stava succedendo.
Ero la sola.
Non mangiavo, dormivo poco, versavo fiumi di lacrime perché mi assaliva il pensiero di averla voluta con tutte le mie forze quella situazione, di aver lottato per raggiungerla. Era il mio più grande fallimento? Non riuscivo a parlarne con nessuno. Perché quando sei sposata e pensi di separarti, non è semplicemente lasciarsi.
Mi sentivo profondamente sola, ma volevo stare da sola.
Un giorno mi sono svegliata ricoperta di bolle, avevo la febbre e sono dovuta andare in ospedale. Ero esausta mentalmente e fisicamente, ho avuto paura. Qualche settimana dopo, una fredda sera di febbraio ho trovato l’ultimo brandello di forze e sono andata via di casa, non potevo arrendermi all’idea di vivere per sempre infelice e insoddisfatta.
Andarmene è stata la cosa più difficile della mia vita, affrontare famiglia e amici di sempre è stato più complesso di quel che potessi mai immaginare, ma è stata una scelta. Una mia scelta che ha fatto un male indescrivibile, ma mi ha reso libera.
A qualche anno di distanza e un percorso di psicoterapia intrapreso molto tempo dopo la separazione, penso che l’errore più grande che ho fatto in quel periodo è stato pensare di farcela da sola e allontanare tutti, famiglia e amici compresi. Il risultato finale sarebbe stato lo stesso, ma il confronto ed il conforto avrebbero di certo alleviato il dolore e attenuato le paure.
Oggi sono una donna libera, felice, lavorativamente realizzata, follemente innamorata, con dei sogni e tanti progetti di vita… Se mi volto indietro sorrido e penso che l’evento peggiore della mia vita sia stata la scelta migliore della mia vita.
F., Donna – 37 anni
1 Commento. Nuovo commento
Cara F.
dalla tua storia emerge un tema tanto caro a noi addetti ai lavori, quanto difficile da ‘sbrogliare’, come la matassa di un bandolo intricato: la presa di coscienza che il legame che ci unisce alla persona con cui siamo sposati è anche quello che ci fa stare male e da cui dobbiamo liberarci.
Tu racconti di momenti belli e brutti, ma sempre condivisi, di un sogno che si realizza, ma che poi diventa una gabbia.
E allora la domanda che racchiude tutto: “Ma è possibile?”.
La presa di coscienza del disagio parte proprio nel momento in cui riusciamo a non porci più questa domanda e a dichiarare a noi stessi: “E’ possibile!”.
Che cosa è successo? Qualcosa, tante cose o forse niente.
Fatto sta che il tuo matrimonio ad un certo punto è diventato la tua gabbia (separazione). Inizialmente hai provato a trovare un motivo di questo malessere nel cambiamento di lui e nelle direzioni opposte in cui sembravano andare le vostre idee sul futuro. Ma poi, passando attraverso una forte somatizzazione, hai capito che forse il motivo dovevi cercarlo dentro di te, per tentare di trovare la felicità che inseguivi. Un volta compreso questo, attraverso il tuo percorso di psicoterapia, sei riuscita a scegliere per te e la tua scelta ha capovolto completamente la prospettiva e ti ha fatto sentire di nuovo viva.